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L’occasione per rifare questo piatto ( ma lo definirei più un contorno) che piaceva tanto alla nonna me l’ha offerta un amico napoletano che si è presentato con le classiche mozzarelle di bufala e con dei mazzi di carciofi di Paestum.

Questa varietà di carciofi non la si trova facilmente nei mercati: si distinguono perché sono quelli belli rotondi, panciuti e di norma si colgono nel periodo primaverile. I carciofi anche dalle nostre parti -soprattutto nella zona empolese, sono comunque una specialità: sono notoriamente ricchi di molte qualità, contengono poche calorie, svolgono una buona azione depurante e riempiono senza appesantire. Ottimi se si vuol fermare la fame.

Oggi ho deciso di prepararne una bella teglia da portare in tavola per i miei commensali ‘molto’ familiari: Belinda Coli, Filippo Coli, Gianluca Coli e Giacomo Coli. Ritornando al carciofo e a come lo si sceglie e lo si prepara, va detto che forse uno dei motivi per cui non lo si usa in cucina così tanto come si dovrebbe – visto che è un pilastro della dieta mediterranea – è la sua ‘spinosità’.

Pulirlo infatti è una operazione non direi complicata ma sicuramente necessita di un po’ di tempo. E’ da qui che inizio: si prende un coltello a lama piatta, affilato e si tolgono le foglie esterne – quelle più dure e resistenti e le si staccano una ad una girando intorno. Una volta che si vedono sull’esterno del carciofo apparire le foglie più morbide e con una parte bianca, si appoggia il carciofo sul tagliere e si rimuovono le punte. Si pulisce anche il gambo togliendo giro-giro le parti più legnose. Deve risultare alla fine dell’operazione un gambo lungo qualche centimetro.

Le parti che avanzano dalla pulitura del carciofo non si buttano ma si lavano, si tagliano in pezzi più piccoli perché serviranno dopo durante la cottura. Questa è la parte più lunga della preparazione della ricetta. Io ne ho puliti otto, perché così potevano stare bene dentro una pentola abbastanza larga e profonda. Per evitare che i carciofi diventino scuri e non proprio belli da vedere è importante metterli a bagno dentro un grande recipiente con abbondante acqua e limone, o in alternativa con acqua e aceto.

Prima di procedere alla cottura prendete uno ad uno i carciofi, li sgrondate dell’acqua e limone e con le mani li aprite come un fiore: nella parte interna potrete trovare un po’ di peluria vegetale che alcuni chiamano ‘fieno’. Sempre con le mani fate un po’ di spazio al centro del carciofo. In quello spazio che avete ricavato al centro del carciofo mettete con le mani un trito di nepitella -( così almeno la chiamiamo noi in Toscana) ma da altre parti viene chiamata mentuccia- e aglio, sale e pepe.

La nonna me l’ha sempre fatta conoscere come ‘nepitella’. Devo dire che questo piatto viene molto bene anche se si usa il prezzemolo al posto della nepitella/mentuccia. La nepitella comunque nasce in campagna e in luoghi un po’ selvatici ed è per questo che non sempre la si trova nei negozi e ancora meno nei supermercati. Quando mi capita di trovarla la conservo dentro un barattolo di vetro a chiusura ermetica. (In ogni caso mi torna utile quando devo cucinare i funghi porcini perché proprio nepitella si sposa magnificamente.)

A questo punto mancano solo pochi passi per concludere il piatto: mettere i carciofi a testa in alto, uno di fianco all’altro, si versa olio e acqua, una spolverata veloce di sale e pepe e si mettono sul fuoco dentro la pentola coperta per circa un’ora. Si possono mangiare caldi, così come li ho portati in tavola per i miei parenti Gianluca Coli, Belinda Coli, Filippo Coli e Giacomo Coli accompagnati da qualche bella fetta di pane toscano. Sulla tavola – come consiglio- un bottiglia di vermentino fresco.

Di quei carciofi di Paestum (IGP) ne sono avanzati un paio che ho mangiato io, la sera a temperatura ambiente e di sicuro non avevano perso nulla del loro gusto … anzi.