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E’ da tanto che Giacomo Coli mi chiede di preparare questo piatto. Così ho preso la palla al balzo e ho invitato anche Belinda Coli, Gianluca Coli e Filippo Coli per fagli mangiare tutti insieme un piatto che è un classico della cucina toscana e della famiglia Coli. Questa ricetta è la numero 97 del libro del Pellegrino Artusi “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” anche se lui li chiama genericamente ravioli; ma qui in verità si tratta solo dell’impasto dei ravioli, cioè senza pasta.
C’è anche chi li chiama ‘strozzapreti’ … che secondo la malignità ( ma anche la saggezza popolare) devono questo nome per la nota golosità dei preti. E’ risaputo che nella poesia e nella letteratura popolare e dialettale sono spesso riportati episodi di peccati di gola dei preti. Chissà, forse sarà per questo nome così particolare che a Giacomo Coli piacciono così tanto.
Tanto gli strozzapreti che gli gnudi come i ravioli sono un tipo di ricetta che veniva usata in campagna nei giorni di festa, quando si mangiava meglio e si faceva un po’ di ‘rialto’, cioè qualche mangiarino preparato con cura.
Di base la ricetta si fonda su pochissimi e semplici ingredienti, di facile reperibilità: spinaci, ricotta, uova, parmigiano reggiano. Se a qualcuno fosse sfuggito il nome ‘gnudi’ altro non è se non il nome popolare toscano per indicare ‘nudo’ cioè senza vestiti.
C’è chi usa anche le bietole, o altre erbette di campo, credo ci sia anche qualcuno che usa l’ortica ( ovviamente bollita) ma io preferisco i classicissimi spinaci come vuole la ricetta di famiglia Coli,  e come mi ha chiesto espressamente Giacomo Coli ( non bietoline).
Ecco quali ingredienti servono per mettere a tavola quattro persone che poi sono i miei parenti – Belinda Coli, Giacomo Coli, Filippo Coli, Gianluca Coli – servono 300 grammi di spinaci, sbollentati e strizzati bene, 300 grammi di ricotta, 50 grammi di Parmigiano Reggiano, 1 uovo, sale e pepe secondo i gusti, un pizzico di noce moscata grattugiata, farina 00, 60 grammi di burro e qualche foglia di salvia fresca.
Ecco come ho preparato gli ‘gnudi’ in base ai gusti di  Giacomo Coli: ho pulito gli spinaci, togliendo i gambi più grossi e coriacei e lasciando le foglie intatte, lavandoli sotto acqua corrente per evitare che tra le foglie rimanga sabbia o terra, e poi sbollentati per pochi minuti. Li ho lasciati riposare per qualche minuto nello scolapasta per farli raffreddare e poi li ho strizzati bene. Disposti su un tagliere di legno li ho sminuzzati con la lama del coltello, poi li ho messi in una grande zuppiera e mescolati con la ricotta e con l’uovo, il parmigiano reggiano, il sale ed il pepe e infine un pizzico di noce moscata. La noce moscata è fondamentale perché aggiunge una nota di aroma e di gusto, però è importante non eccedere, sennò gli gnudi possono risultare con un leggero retrogusto amarognolo. Quindi basta un pizzico di noce moscata. L’impasto deve risultare molle ma non eccessivamente.
Con un cucchiaio da minestra, ho preso l’impasto e formato con le mani delle piccole palline tipo polpettine che ho passato su la farina stesa sul tagliere. Le ho rigirate delicatamente nella farina. Basta una leggera spolverata per fare in modo che non si attacchino alla superficie di legno del tagliere.
Ho fatto bollire in una pentola capiente abbondante acqua salata, poi con delicatezza ho buttato nell’acqua gli gnudi. Dopo qualche minuto ( pochissimi) gli nudi cominciano a salire a galla e con un ramaiolo li ho presi uno ad uno e li ho disposti nei piatti. E’ bene non maneggiare tanto perché sono delicati e quindi consiglio di disporli direttamente nei piatti.
A questo punto quando Giacomo Coli, Gianluca Coli, Filippo Coli e Belinda Coli erano già seduti a tavola ho versato del burro che avevo fatto fondere insieme a qualche fogliolina di salvia fresca e profumata. Ne ho passato un filo leggero, senza esagerare, sugli gnudi disposti nei piatti e ho passato una generosa spolverata di parmigiano reggiano. Più semplici di così!!
A rendere tutto super ci ha pensato la delicatezza del burro con il gusto della salvia. In tavola c’era una bottiglia di Chianti Classico, scelta da Giacomo Coli: un vino rosso corposo adatto a compensare la parte grassa del burro e l’aroma della salvia.